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Non l’adornava; qual visiera o larva
La faccia le chiudea cilestra nube.
Chi sei, le dissi, e perchè vieni? ed Ella:
Veramente io son tal, che palesarmi
205Non deggio; indovinata esser vogl’io;
E, se di colpo tu non mi affiguri,
Ne incluso il sonno, che le idee scolora.
Spesso io vivo con te; le mie parole
Odi tu spesso, e colle tue favello
210Io pur talvolta; pochi istanti sono
Che ci lasciammo, e me sì ratto obblii?
Di romanzi, di storie e di poemi
Anch’io m’intendo, e se a men alte cose
Scender consento, è solo che benigna
215Indole vuol, che ai piccoli io non nieghi
Qualcun talora de’ piaceri miei.
Come la rima, che in etadi grosse
Nata quantunque, di diletto è fonte,
Fonte son di diletto io, che pur nacqui
220A quelle grosse età, quando le care
Membra dell’uomo dalle atroci ruote
Veniano affrante e dalle corde ingiuste;
E affransero a me pur le care membra:
Rozzezza e ferità spogliate, il mondo
225Streghe non più, nè eretici tortura;
Sola io rimango degli strazii antichi
Rispettato vestigio, ultimo sfogo.
Anche in dirotti membri io talor apro
Un sorriso festevole, ed il bujo
230Discorso tingo d’amoroso mele.
Tu, che le reti mie più presto godi
Tessere che strigar, non vo’ che troppo
Pensar tu debba a discoprirmi; questo
Vapor ceruleo, che mi appanna il volto,
235Gl’Italici ombra, scia dissero i Greci,
E Sciarada da scia chiamata io venni.
Un gran servigio, o mio Fedel, tu puoi