L’urna si franse, si spezzò la ruota Sulla cisterna, perchè l’uomo al fine 65Della sua eternità va nell’albergo. Nè, men che in Palestina, in Grecia caro
S’ebbe un tal vezzo, e sol perchè rinvenne
Di Giocasta il figliuol quell’ente oscuro, Che cammina al mattin con gambe quattro, 70Al meriggio con due, con tre alla sera,
Di bile disperata in core acceso,
Il portento, leone aquila e donna,
Si perigliava dal Teban dirupo;
E, se credi a talun, lenta rancura 75I giorni logorò d’un divin Cieco,
Cui meno increbbe non veder la terra,
E, o placida o in furor, l’onda infinita,
E l’aureo Sole e le Titanie stelle;
Che d’un enigma, che da scior gli diero 80Sul marin lido scinti pescatori,
Non penetrar nella bizzarra notte.
Quando più liete le Romulee cene
Fea la zampogna del gentil Marone, Scoprimi, ed io t’avrò qual magno Apollo, 85Ove stendasi il ciel tre sole braccia,
Uno cantava degli Ocnéi pastori:
E perchè Mecenate avea da un canto
Il cispo Flacco, e il Mantovan dall’altro,
Cui talor, colpa delle veglie dotte, 90Lo stomaco restio sonoramente
Improverava, non murena o ciacco,
Ma lieve frusto di più cauto cibo,
Con salso motto, che d’enigma ha faccia,
Dir solea quell’Etrusco Cavaliero: 95Fra le lagrime io vivo e fra i sospiri. Moltiforme è l’Enigma, e nomi ha varii;
Ma quello, che fra noi tiene oggi il campo,
O ne’ crocchi leggiadri, o ne’ volanti
Fogli ingegnosi che ai prescritti giorni