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— Ah, ma è un buon servo! Non c’è il compagno! — confidò Antonio Dalvy al vecchietto.

Intanto costui condusse il negoziante in chiesa, gli porse l’acqua benedetta, gli fece veder ogni cosa.

— Poh! — diceva Dalvy, sbuffando bonariamente. — Bello! bello! ma proprio bello! Pare impossibile, guardando di fuori, che sia così bello dentro. E quando è la festa?

— Il trenta maggio. Fra poco.

— Poh! poh! Bello! Ora dico a mia moglie che ci venga! E che conduca tutte le sue parenti! — aggiunse come fra sè, sorridendo. — E anche suo figlio, nelle vacanze. È devoto, quel ragazzo, come tutti quelli della stirpe di sua madre! —

Dopo la chiesa, il custode fece vedere la cumbissia dei priori, quella del cappellano, ed altre ancora. Quando furono fuori, si volse un po’ timidamente a Dalvy, e gli disse:

— Se la vossignoria permette, le chiedo un favore. —

L’altro aprì un po’ gli occhi, avvolgendo il vecchietto in uno sguardo poco promettente.

— Non le chiedo l’elemosina, — disse fiero il custode; — se mi vuol dare qualche cosa è suo dovere; ma non è questo. È questo,