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la vedrete, e s’è messo a correre con gli altri cavalli, ed ha vinto il premio. Basta, mi si è avvicinato, e mi ha detto qualche cosa in lingua che io non comprendevo. Io m’inchinavo e lo salutavo. Poi mi ha detto qualche altra cosa. «Cosa dice, monsignore?» E uno mi ha spiegato: ti domanda cosa fai tutto l’anno. «Ah, monsignore, stuoje, cestini, sgabelli di ferula». «Fate vedere». Io gli mostro una stuoja. «Bella! Bella!» «Bè», dico io, «se è bella gliela regalo». Aveste visto come brillarono i suoi occhi! Dice: «Piacervi mia cavalla?» «Cosa?» dico io. «Si ti piachet cabadda mea?» dice lui, tendendo il dito verso la giumenta. «Molto!» dico io. «Ebbene, è tua, pigliala, è tua».
— Palla che vi sfiori! — gridò Bellia. — E voi l’avete presa?
— Altro! Prima dicevo di no, ma quel signore ha tanto insistito che la presi. Se vedeste come è bella! È nera di fondo, tutta a punti bianchi: pare ci abbia nevicato sopra. Basta, sentite poi cosa avvenne. C’era un uomo, un paesano ricco, un principale, infine. Cosa fa egli, la volpe astuta? Pensa: se a quel povero diavolo che ci regala una stuoja, dà una giumenta, cosa darà a me se ci farò un gran regalo? Subito, prende per la briglia il suo