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Prevedendo un buon guadagno, egli s’era messo tosto all’opera.

Bellia e Ghisparru, i due servi, lo accompagnavano o lo precedevano, scovando nei villaggi e nelle campagne del Nuorese i bei puledri dalle forme perfette, e le giumente dagli occhi melanconici.

Il negozio procedeva così. Davanti a due testimoni. Antonio Dalvy dava una caparra al venditore, e gli lasciava in custodia la bestia acquistata. Al ritorno, finito il giro, padrone e servi sarebbero ripassati per prendersi, mano mano, i puledri e le giumente, versando il restante prezzo.

Era di maggio, e Dalvy viaggiava su un bel cavallo alto e rosso, dalla piccola testa irrequieta. Nelle ore di gran sole, quando le alte erbe dei piani selvaggi lucevano, immobili sotto lo splendore del cielo turchino, il negoziante spalancava un ombrello verde, piantandoselo ben davanti al viso.

Allora la linea obliqua dei suoi occhi semichiusi, sotto l’ombra verde, al riflesso verde dei pascoli, delle macchie ardenti, pareva di smeraldo: si scorgeva da lontano.

Un giorno i servi capitarono vicino ad una chiesa campestre.

— Andiamo a dir un’ave-maria, — disse