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tando in qualche modo i due disgraziati. Essi erano compagni di catena, erano compatrioti, parlavano spesso della loro terra lontana, ed erano anche uniti dalla convinzione di dover entrambi morire laggiù, numeri smarriti nella bianca desolazione delle saline battute dal mare e dal sole.

Zio Chircu era spesso ringhioso e provocante, il suo carattere essendosi del tutto cambiato. In certi momenti di umor nero insultava il vecchio compagno, e per poco non lo percoteva. Allora il vecchietto si metteva a ridere e gli diceva:

— N.° tale, se continui a far il cattivo, non ti dico dov’è nascosta la mia brocca. —

L’altro s’irritava di più.

— Che il diavolo ti peli, anche se tu me lo dici, che favore puoi farmi?

— Se non altro, lo sai anche tu.

— Che il diavolo ti cavalchi, che il diavolo ti metta in salamoia, non farmi oltre adirare, N.° tale. —

Quando si dicevano il N.° invece del nome, era il più grande insulto che potevano scambiarsi.

Un giorno ch’era di buon umore, mentre stavano al lavoro, zio Chircu disse al compagno: