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chietto che gli arrivava appena alla cintura, con un piccolo volto grasso e rosso nel quale erano affondati due occhietti d’un vivissimo azzurro.
Era nativo d’un paese vicino a quello di zio Chircu; si chiamava zio Pretu (Pietro).
Era un ometto allegro, spregiudicato e bugiardo: però dopo aver fatto credere ai suoi compagni le cose più meravigliose, rideva sguaiatamente, dicendo che le sue storie erano tutte panzane. Quando zio Chircu giunse all’ergastolo, zio Pretu non veniva già più creduto in nulla. Se però diceva qualche verità, il suo accento era tale che s’imponeva: ma questa verità zio Pretu la diceva raramente, e con pochissimi. Con poche parole, e con quel raro accento veritiero, raccontò la sua storia a zio Chircu, dopo che se ne ebbe acquistata tutta la confidenza.
— Senti. Io sono di tal paese. Stavo bene, sai, avevo vacche, alveari, terre seminate di frumento e di fave.
Ma volevo star meglio. Sapevo che c’era un prete ricco, il quale teneva persino posate d’oro, e con alcuni compagni andammo a derubarlo. Siccome egli gridava, gli mettemmo le mani al collo, ed egli restò morto. Ma ecco sul più bello la giustizia: pum pum