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fiume: un uccello palustre, nero, con lunghe e grandi zampe verdi come giunco, modulava uno strano canto su un ramo di salice selvatico.
Fra i testimoni comparve l’amico delle legna, ed altri deposero che l’imputato era un uomo selvaggio, cupo, insocievole.
Il pubblico ministero lo dipinse come «una fiera dei boschi, che aveva lungamente meditato il delitto, aspettando la vittima al varco, come belva appostata in attesa della sua preda». Proprio così.
Zio Barabba guardava spaventato quel signore dagli occhiali brillanti, al quale non aveva mai fatto alcun male, e ne provava uno strano terrore.
Per confortarsi volgeva lo sguardo ai giurati, uomini dei villaggi, pacifici, grassi, d’aspetto umano, e sperava. Parlò l’avvocato. Era più verde che mai: se aveva qualche slancio, questo consisteva in uno stridere di denti di pessimo effetto.
Basta; il povero uomo fu condannato ai lavori forzati a vita. Egli pianse amaramente; guardò ancora una volta i giurati, quegli uomini grassi, pacifici, d’aspetto buono; ricordò il suo sogno, la sua fiducia cieca nel trionfo della verità, e si disse che tutte le cose che sembrano belle erano false.