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darli, o con la barba bionda o calvi e pallidi, s’erano dimenticati di lui.
Ma un giorno gli mandarono un foglio, parte stampato e parte manoscritto: egli se lo fece spiegare trepidando. Era la deliberazione della camera di consiglio, che lo rimandava a dibattimento alle Assise. Poi gli mandarono un avvocato, un giovinotto verdognolo in viso, bilioso o indifferente secondo i momenti. Anche questo giovinotto pretendeva che zio Chircu gli dicesse d’aver assassinato il signor Saturnino Solitta.
— Ditemi la verità, — diceva, — agli avvocati si deve confessar tutta la verità, poi le cose s’accomodano. —
Per un momento zio Barabba ebbe la tentazione di dire che aveva ammazzato il Solitta; tanto gli parve più facile liberarsi confessando il preteso delitto che affermando la verità. Ma quando la faccia verdognola dell’avvocato non gli stava davanti, tornava a sperare nel trionfo della verità; eppoi, i compagni di carcere gli dicevano che i giurati erano uomini probi, con cuore umano e non con cuore di pietra come i magistrati.
Venne il giorno del dibattimento: zio Chircu si svegliò quasi allegro, avendo sognato di esser nel bosco a tagliar legna, vicino ad un