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non gliele restituiscono — pensava. Ma poi si pentì e si disdisse. Ah, no, non voleva offendere oltre la bontà del Signore, sicuro come era che la disgrazia presente gli succedeva perchè aveva già peccato, appropriandosi della roba altrui.
Nelle lunghe ore di cella, mentre istintivamente provava la nostalgia dei grandi boschi solitarii e del cielo aperto, si sentiva infelice, infelice; ricordava i giorni della sua latitanza e quanto ne aveva sofferto, e gli sembrava d’aver peccato, allora, lagnandosi, perchè il patimento di quei giorni era una felicità grande, in confronto della tristezza presente. Eppure, non aveva ancora una giusta idea delle terribili cose che lo aspettavano. Sperava sempre di venir da un momento all’altro liberato, e ogni notte addormentandosi, sentiva il toc toc dell’accetta vibrato nel silenzio della foresta, e accompagnato dal grido lento e melanconico del cuculo.
Passò gran tempo. Nessuno si ricordava di zio Barabba; nessuno gli faceva colloquio, come suol dirsi, o gli mandava un sigaro o un litro di vino o un pane o una camicia pulita, come ne riceveva anche il più misero dei prigionieri. Anche quei signori con gli occhiali brillanti, che mettevano paura a guar-