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rinvennero le spoglie del delitto, e passò tosto per l’assassino del signor Saturnino Solitta.
Lo gettarono in carcere, lo sottoposero a lunghi, crudeli, atroci interrogatorii. Ogni giorno venivano dei signori, chi con gli occhiali, chi con la barba bionda, e gli domandavano mille cose strane, e volevano che assolutamente egli dicesse come e quando aveva ammazzato il signor Saturnino Solitta.
— Ma io non ho ammazzato nessuno, — diceva lui, — io queste cose le ho trovate, e non sapevo neppure cosa fossero. Un amico mi consigliò di cambiare quel foglio e siccome io avevo gran desiderio di un paio di scarpe, ho seguito il suo consiglio. Domandatelo a lui se non mi credete. —
Lo fecero venire, lo domandarono: l’uomo ammise di aver prestato le sue vesti – e le voleva restituite – di aver prestato le sue scarpe all’Orovei, ma non sapeva nulla, non avea consigliato nulla.
— Che farabutto, che faccia tosta, — diceva fra sè zio Chircu, — eh, già, dovevo pensarmelo, dopo il fatto delle legna!
— Ebbene, — disse al giudice, per vendicarsi, — se non mi ha consigliato nulla, non mi ha prestato neppure le sue vesti. — Così almeno