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chi giorni parve invecchiare di dieci anni, diventò più sporco e lacero di prima, e i suoi occhi s’offuscarono. Ah no, in carcere egli non voleva entrarci, almeno finché durava la bella stagione. E neppure nella cattiva, avrebbe voluto entrarci, perché era in inverno che le legna si vendevano bene. Ad ogni modo s’intese con un altro uomo del paese, e si diede alla campagna; tanto c’era avvezzo, e poco gli importava rientrar in paese. Egli tagliava le legna, e l’altro uomo le vendeva, recandole al villaggio; però lo truffava della metà, ed egli doveva star zitto e rassegnarsi.

Si sentiva profondamente infelice, doveva andare in boschi lontani, e per lo più tagliava le legna di notte, quando la luna calava sui boschi solitari, e al toc, toc dell’accetta, vibrato in quell’arcano silenzio lunare, rispondeva il cu cu del cuculo, che or pareva salire dalle profondità del bosco, or scendere dalle trasparenze pallide del cielo.

Così passò l’autunno, passò l’inverno, e venne la primavera. Zio Chircu era in estrema miseria, quasi ignudo, coi capelli e la barba inselvatichiti, e spesso soffriva la fame; ma non voleva arrendersi. No, no, non s’era arreso durante i grandi freddi invernali, e tanto meno voleva arrendersi ora che il sole met-