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— Come, sola? — le chiese Matteo con ironia.

Ella non si degnò rispondere, ma trasse fuori un telegramma del padrone, che pregava Matteo di consegnare il bimbo a lei.

Matteo guardò la provenienza del telegramma, e vide il nome d’una città vicina.

— Come, non è a Roma? Ebbene, tanto meglio — pensò.

— La signora mi scusi, — disse a Luigina, rendendole il telegramma, — ma io resto fermo nel mio proposito faccia lei quello che crede.

Allora ella si mise a strepitare, dicendo parole triviali; anche il suo viso, piuttosto bello, prese un’espressione volgare e quasi ripugnante. Matteo la lasciò dire, guardandola fisso profondamente disgustato. Sentiva tutti i tormenti che quella donnaccia doveva aver fatto subire al bambino, e si chiedeva che razza d’uomo era il Lauretti a lasciarsi dominare da un’amante così triviale.

— Parli piano, signora, — le disse con ironica cortesia, — badi che chi più grida ha torto, — Le ripeto di fare tutto quello che le aggrada, ma io non consegnerò il bimbo che al padre in persona. Per affrettarne il ritorno gli scriverò oggi, subito, informandolo di tutto.