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Uscì con la cartella fra le mani; e varcando la soglia pensò: — Ebbene, che fretta c’è? Il padre tanto non c’è. Se lasciassi a domani? No, non è giusto.

— Svegliò la domestica e la mandò dalla redazione del giornale ov’egli scriveva.

— Che l’inseriscano nell’edizione di stanotte; presto, Maria. —

Rientrando nello studio sentì che Gino faceva un chiasso impertinente. Guardò: il piccino saltava e gesticolava davanti alla parete, ridendo pei salti e i gesti grotteschi che la sua ombra ripeteva.

Matteo entrò, si sedette sul piccolo divano, e preso il bimbo sulle sue ginocchia cominciò a conversare infantilmente con lui.

L’indomani una donna assai giovine e vestita con discreta eleganza venne a reclamare il bambino. Matteo l’aspettava, e vedendola l’esaminò attentamente, frenando una certa ira che dentro gli bolliva.

— Ella è la signora Luigina?

— Sissignore.

I suoi tratti, nonostante l’eleganza delle vesti e della pettinatura, tradirono la servilità.

— Mi dispiace, — disse Matteo, — ma a lei non posso consegnare il bimbo. Lo consegnerò solo a suo padre.