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non ti posso vedere, io non ti voglio. Allora essa mi graffia, e poi grida e dice che l’ho graffiata io. Allora viene essa, e mi batte, e mi chiude all’oscuro...

— Chi essa? Lauretta?

— No, essa, Luigina. La madre di Lauretta.

— Ha il grembiale bianco essa? — domandò Matteo, per assicurarsi se essa era ancora cameriera, o se il padre di Gino l’aveva sposata.

— Ce l’ha quando c’è gente.

— Benissimo. E poi?

— E papà l’altro giorno è partito, e ha detto che mancava qualche giorno. Allora Lauretta ha detto: ora sono io la padrona; e s’è messa a correre sulle sedie, battendole con la frusta, e mi ha preso il cavallino mio e la pecorella. E io ho gridato: sono io il padrone, scendi giù, occhi cisposa. Allora Luigina mi ha dato degli schiaffi e mi ha detto: è essa la padrona, tuo padre lascerà tutto a lei, e a te nulla; e ora che non c’è esso ti chiudo al buio, a pane ed acqua, e i morti verranno a prenderti, brutto rospo. Allora io ho pensato di fuggire, di andare da papà, di dirgli tutto, e sono fuggito. Poi ero stanco e mi son seduto e mi sono addormentato. E ora dov’è la pattuglia?

— Non aver paura; è lontana; eppoi ora