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condurlo a casa sua e dargli i libri con le figure colorate, lo consegnava alla pattuglia?
Nella piccola mente la pattuglia, quel gruppo invisibile di soldati camminanti nella notte a passo cadenzato, accompagnato da un misterioso tintinnìo di sciabole, aveva qualche cosa di mostruoso, più sottilmente spaventoso di tutti gli intangibili fantasmi infantili.
— Dov’è ora la pattuglia? — domandò con voce soffocata.
Matteo capì il lavorìo della piccola mente, e volle profittarne.
— Non so dov’è, ma possiamo incontrarla fra poco, e se tu non mi dici come ti chiami...
— Mi chiamo Gino Lauretti.
— Lauretti? Non conosco nessuno che si chiami così — pensò Matteo, rapidamente esaminandosi; e non volle indugiarsi per non perder il momento propizio.
Il bimbo fremeva leggermente. Matteo camminava lesto, sotto la luna, un po’ stanco per l’insolito peso, e nuovamente dimentico di sè.
— Dunque ti chiami Gino Lauretti. Bravo. E tuo papà si chiama Antonio?
— No, si chiama Andrea.
— Ah, Andrea? E mammà?
— Mammà è morta. —
Matteo cominciò a capire, ma confusamente.