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piere un atto pietoso, vigilando sul piccolo dormiente. Si sedette lievemente sulla panchetta, sull’orlo ombreggiato da un ramo, e attese, tendendo sempre le orecchie ad ogni minimo rumore, e guardando il bimbo. Le manine specialmente attiravano il suo sguardo: dovevano esser fredde fredde, le piccole mani dalle corte dita affusolate. Il desiderio di toccarle, di stringerle entrambe entro la palma della sua mano destra, invadeva Matteo: ma lo ratteneva il timore di svegliare il piccino. Intanto l’ora passava, nessuno si lasciava vedere, e l’aria diventava fresca. Quell’attesa strana, l’inquietudine e la curiosità unite ai suoi tristi pensieri, stancarono ben presto Matteo. Egli decise di svegliare il bimbo, di interrogarlo e possibilmente ricondurlo ai suoi. Tese la mano, la ritirò, penso con amarezza:

— Dopo tutto cosa m’importa? Perchè impicciarmi in un affare che può recarmi dei fastidi? Nulla più mi attacca alla vita ed ai viventi. Andiamo dall’altra parte del boschetto: anche se questo bimbo mi scopre, che importa? Forse che io mi accorgerò più di nulla? —

Si passò una mano sul volto.

— Pietà? Dovere? — disse fra sè duramente.