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arcana, come nei bei crepuscoli dell’incipiente maggio, palpitava intorno.

Matteo sentiva quel soave senso di vita, e avendo piena coscienza di quanto andava a fare, provava l’immenso dolore di non poter più godere la vita. Si sentiva morire prima dell’ora. Per abbreviare questo estremo strazio, che pareva gli venisse mandato dal destino per colmare la misura dei grandi dolori già sofferti, affrettò il passo.

Egli solo camminava fuor di città in quella pura sera: la sua ombra lo precedeva, quasi mostrandogli la via fatale. Quando egli giunse nel boschetto. Venere spariva come una perla dietro un piccolo ramo le cui foglie eleganti si distinguevano perfettamente disegnate nell’aria. Matteo vide, e non potè rattenere un moto d’angoscia: fin dalla sua prima giovinezza, lieta di sogni, egli, più che il tramonto del sole e della luna, aveva amato e contemplato sempre il tramonto di Venere.

E quest’ultimo tramonto, più che ogni altra cosa in quella sera fatale gli rievocava in un attimo tutti i più cari ricordi della sua vita. Entrò nel boschetto, in un viale dritto e stretto che la luna illuminava dall’alto. Non una foglia si moveva: i rami s’ergevano e si stendevano rigidi, immobili nella puris-