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ripetè tanto seriamente la proposta dell’agnellino che riusci ad aver qualche particolare sui due signori.

L’impresario dello stradale era nuorese; l’ingegnere, quello della barba bionda, era continentale, ma Arrosa lo conosceva da molto, molto tempo. Ogni volta che egli veniva alla cantoniera regalava del bel danaro a Nanìa; ed essa un po’ ne dava al babbo, un po’ lo nascondeva entro un sacchettino, sotto i materassi. Ed a lei, ad Arrosa, l’ingegnere non dava mai nulla, perciò essa non lo poteva vedere.

— Come si chiama? — chiese Jorgj facendo una smorfia.

— Il signor Guglielmo...

— Restano lì a dormire?

— Sì. —

Ad un tratto Jorgj piantò la piccina, e se ne andò via, cupo in viso.

— Tiligherta — gridò Arrosa — ricordati l’agnellino, l’agnellino... —

Egli non rispose e in breve scomparve nel bosco. Una terribile gelosia cominciò a tormentarlo. Tornò all’ovile ma sentivasi così contrariato, così di malumore che si bisticciò con zio Concafrisca, l’altro pastore, e per poco non lo bastonò. Poi riprese a battere il bosco