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tiva un nodo alla gola, e gli sembrava di sognare.
Quella luna bassa, obliqua, quel gran paesaggio misterioso, quella figura selvaggia sdraiata accanto a lui, sull’erba, gli ricordavano strani sogni fatti nella sua adolescenza. Ricordi lontani gli passavano in mente. Ricordò una volta che aveva voluto seguire suo padre in una caccia al cervo, nelle campagne del Goceano. E per farlo star quieto, mentre stavano alla posta, appiattati così fra l’erba, Ghisparru gli aveva raccontato una leggenda paurosa. Così, come quella notte.
Poi, all’improvviso, gli passò nel pensiero la figura alta e candida della fanciulla paesana che gli aveva recitato un grazioso grobe (cloba) in logudorese. Poi ricordò tutta l’orribile storia narrata da Bellia. Sentì nuovamente l’ombra mostruosa avvolgerlo, afferrarlo alla gola, come nel primo momento di orrore. E senza accorgersene si gettò bocca a terra, masticò l’erba, singhiozzò e pianse convulsivamente.
Tutto ciò in un istante.
Ghisparru lo prese per le spalle, lo chiamò con dolci nomi, e lo fece tornare in sè.
Allora egli si pentì fieramente d’aver pianto e raccontò ogni cosa al vecchio.