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— È vero — disse Ghisparru.

— In fede mia, l’ho venduta io, per trentacinque scudi — ripeté il vecchio, accarezzando la bestia. — Eh, piccola colomba, te ne ricordi? Sei sempre la stessa; un po’ più buona però. Eh, te ne hai mangiato d’orzo e di paglia! La tua groppa sembra uno specchio. Basta, le vossignorie possono accomodarsi qui nella mia stanzetta. Ci sono le stuoje, e poi chiederemo qualche coperta al priore. —

Nel mentre Ghisparru, ajutato da Giame, scaricava le bisaccie, e levava le selle ai cavalli, Donna Lillica continuava a far dei passi per sgranchirsi le gambe, e s’accomodava il fazzoletto e la collana. Voleva entrar in chiesa con decoro.

Alcune donne s’affacciavano alle porticine, la guardavano curiose, e la salutavano sorridendo, indovinando in lei una donna ricca.

In quella entrò nel cortile l’uomo vestito di fustagno, col fazzoletto azzurro al collo. S’avvicinò scuotendo le braccia, gridando:

— Salute, donna Lillica! Salute, monsignora! Salute!

— Tu pure qui, Bellia? —

Era l’ex servo, da poco tornato di reclusione.

— Io pure qui! O non le pare, monsignora?