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vava una profonda angoscia, vivendo nel futuro. Allora riapriva gli occhi, guardava intorno la camera soffusa di dense penombre, e pensava:

— No, non lascierò nulla, non abbandonerò nulla, mai, mai! —

E allora? E il sogno d’amore da lunghi anni accarezzato? Ah, la felicità presente era incompleta, non era neppure felicità al paragone dell’altra. E in certe ore, specialmente nei teneri vespri di viola, ella si struggeva, come mai, nel desiderio del caro lontano.

Talvolta pensava che la vera felicità poteva essere nel fondersi assieme del presente e del futuro, nel viver assieme allo sposo nella casa paterna.

Ma era un lampo di luce, al quale seguiva una tenebra fitta e paurosa. Sì, ebbene, e poi? E poi, ella sentiva che, dopo, due, tre, dieci mesi, l’amore morrebbe (forse era già agonizzante, se ella, non ancora sposa, ne prevedeva nitidamente la fine), e da quel gran sogno ne uscirebbero un uomo e una donna legati dalla legge degli uomini, non più da quella del cuore. Ma anche ciò poteva non accadere: sì, si sarebbero amati sempre, come nei romanzi, sarebbero stati sempre felici, sì, ebbene, e poi? E poi tutto doveva cadere, il tempo