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con ogni attenzione la macchina geniale che li aveva sollevati, e con abili domande ottenendo dal maestro le informazioni necessarie, in breve si ebbe acquistata una conoscenza minuziosa di tutti gli ingegni.



Allora fattosi innanzi così parlò al vecchio Platone:
«Maestro, tu dici che noi abbiamo la leggerezza?».
«Altrimenti almeno non saremmo invero qui su» disse Platone.
«E noi siamo leggeri per la presenza della leggerezza?».
«Certamente».
«E ogni cosa in quanto è leggera è tale per la presenza della leggerezza?».
«Senza dubbio».
«E all’inverso la leggerezza è tale da poter render leggera ogni cosa per la sua presenza».
«Allo stesso modo».
«Maestro, perché non potremmo noi prendere un po’ dell’aria che è qui attorno e metterla nella leggerezza? secondo il discorso su cui ora ci siamo accordati, essa perderebbe la sua natura di pesante e parteciperebbe anch’essa della leggerezza». E tacque. – Platone lo guardò a lungo negli occhi miopi coi suoi occhi che vedevano lontano, e vide ch’egli lo tradiva. Ma il giovine discepolo conosceva il meccanismo, e ragionava diritto e Platone non poteva sottrarsi alla conclusione. D’altronde egli conobbe quanto e dove egli stesso aveva errato – né poteva egli ormai vecchio negar la vita al giovane discepolo.–

Egli chinò tristemente il capo e disse al giovane: «