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vita, l’attività non vuole la pace ma l’opera, la negazione non vuol affermare ma negare, la fame non vuol il sapore ma il pane, il coraggio non vuol la prudenza ma l’atto.

Io sto recitando litanie – ma questo non può cambiar niente alla cosa: certo è che nel punto che uno si volge a guardar il proprio profilo nell’ombra, lo distrugge. Così l’uomo per volgersi al sapere, che è la persona, la coscienza attuale dell’onesta volontà della persuasione, distrugge questa per sempre.

S’io parlassi d’altri piaceri che l’uomo – nel punto che li cerca – distrugge, – tutti sarebbero d’accordo, ma poi direbbero: ma qui è un’altra cosa. Invece è proprio la stessa cosa:

Οὐδὲ καλᾶς σοφίας ἐστὶν χάρις
εἰ μή τις ἔχει σεμνὰν ὑγίειαν
. . . . . . . . . . . . . . .
τὶς γὰρ ἁδονὰς ἄτερ
θνατῶν βίος ποθεινὸς ἢ ποία τυραννίς;
τᾶς δ' ἄτερ οὐδὲ θεῶν ζαλωτὸς αἰών.
(Simonide)


Il piacere è l’attualità di tutta la mia persona come determinata potenza, nell’affermazione presente: il cibo m’è dolce quale e quanto conviene alla mia persona (v. P. I. cap. 2°, I).

L’uomo quando sente l’insufficienza della sua persona e si sente mancare di fronte a ciò che esce dalla sua potenza, si volge a ricercare quelle posizioni dove il senso attuale della sua persona