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assoluta, è insufficiente del tutto, è fuori della vita, fuori della sua potenza: è impotente. La prima sa se una cosa è buona o cattiva per la sua persona; la seconda non sa più niente se non che vuol sapere: esser persona finita.



Per sé stesso un uomo sa o non sa; ma egli dice di sapere per gli altri. Il suo sapere è nella vita, è per la vita, ma quando egli dice «io so», «dice agli altri che egli è vivo» per aver dagli altri alcunché che per la sua affermazione vitale non gli è dato. Egli si vuol «costituire una persona» con l’affermazione della persona assoluta che egli non ha: è l’inadeguata affermazione d’individualità: la rettorica.1

Gli uomini parlano, parlano sempre e il loro parlare chiamano ragionare; ma ὁποῖα ἂν τίς ποτε λέγῃ οὐδὲν λέγει ἀλλ’ ἀπολογεῖται- qualunque cosa uno dica non dice, ma attribuendosi voce a parlare si adula.

Come il bambino nell’oscurità grida per farsi un segno della propria persona, che nell’infinita paura si sente mancare; così gli uomini, che nella solitudine del loro animo vuoto si sentono mancare, s’affermano inadeguatamente fingendosi

  1. La vita è in ogni coscienza un valore irrazionale (ἄλογος κατὰ φύσιν, Eraclito), un implicito errore di logica – ma la rettorica ha due volte il fattore irrazionale dell’illusione. Perciò dice Cristo: τυφλοὶ ἦτε ὅτι μὴ βλέπετε ἀλλὰ λέγετε ὅτι βλέπομεν ἁμαρτία ὑμῶν μένει.–