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vita di questa e non usar della relazione: affermarsi senza chiedere.1 – Ma la sua vita non è quello che questa cosa crede giusto per sé, non deve chiederlo alle cose e farsi istrumento della loro qualunque richiesta,2 – ché essendo giusto all’una sarebbe ingiusto all’altra: ripeterebbe la contingenza delle loro coscienze – ma deve egli stesso volerle, egli stesso crearle, amare in loro tutto sé stesso, e comunicando il valore individuale, identificarsi.

Ma questo tutto non è mai tutto e l’affermazione è sempre un cedere, poiché infiniti sono i travestimenti della φιλοψυχία.

Egli non deve accontentarsi finché in fatti non è contento3 e disporsi a cogliere i frutti in pace; non ci sono soste sulla via della persuasione. La vita è tutta una dura cosa.

Egli deve aver il coraggio di sentirsi ancora solo, di guardar ancora in faccia il proprio dolore, di sopportarne tutto il peso.

Egli non deve accontentarsi di quanto ha dato anche se gli altri se ne dicano contenti: egli deve vedere che se pur dicono di sì, tutta la loro vita, che chiede il futuro, dice di no: egli li ha violentati anche s’essi s’accontentano a quello che non è il valore; e s’egli a quello s’accontenta, se non ha il coraggio di negare, ancora è disonesto.

  1. È noto a tutti che la prima impressione d’una cosa è la più giusta, la fresca, l’introvabile poi quando con questa cosa si sia in consueta relazione. È che il primo giudizio era l’affermazione che non chiedeva. –
  2. «Bontà eventuale».
  3. Sta per un «è malcontento».