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nella lotta, convien che l’una ceda o soccomba. E allora insieme si fa manifesta l’impotenza della minor potenza.
Come il satiro davanti all’ermafrodita è il debole che per la sua vita viene a volersi affermar nella sua consueta relazione di fronte a chi è piú forte di lui, che sente la cupidigia definita e insieme sente che non è nella sua potenza procurarsi la vicinanza dell’atto conosciuto: egli non tocca piú fondo coi suoi scandagli, ma si sente in balía delle onde d’un mare, che non conosce, poiché nell’occhio dell’altro egli vede l’oscuritá d’una potenza che lo trascende, un enigma che è pieno di minacce per lui; vuole e disvuole e sulla sua cupidigia si dipinge la faccia del terrore.1
Come una colomba negli artigli del falco è il debole che il forte fa materia della propria vita.
Come il tiratore inesperto accanto al cacciatore è il debole che vuole affermarsi lá dove il forte s’afferma. Ché questi ha la vicinanza dell’animale lontano nella sua mano e nel suo occhio sicuro; quello vede l’animale in una lontananza che come non è finita pel suo occhio è
- ↑ Il gruppo del satiro e dell’ermafrodita che intendo è a Firenze nella Galleria degli Uffizi – credo –; ed è lavoro greco. La testa dell’ermafrodita forse non è l’originale ed è sostituita da una testa di qualche divinitá, ma cosí forse è piú manifesta la tranquilla sicurezza che è del resto in tutto l’atteggiamento del giovane. Qualche cosa di simile, ma piú debole, nel Cristo che guarda Giuda del Tiziano.–