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E la gioia «troppo» forte infine, che mettendo in un tratto nel presente tutto ciò per cui uno viveva e a cui attribuiva assoluto valore, gli toglie la ragione di vivere, mentre non saziandolo del tutto lo fa voler ancora senza saper piú cosa: impotentemente.1 E se lo strappo alla trama prodotto da una perdita si ricuce e gli uomini s’illudono ancora e si riadattano alla qualunque vita – la troppa gioia toglie la ragione davvero, fa impazzire o morire – onde si dice: ἐλαίου δέων ὁ λύχνος σβέννυται, ἐλαίου δέ φλέοντος ἀπεσβέσθη.–

Dappertutto lo stesso dolore della vita che non si sazia e crede di saziarsi, reso perspicuo per la qualunque contingenza dell’una coscienza col fluire delle altre coscienze, per cui alla breve illusione si manifesti la sua impotenza ed essa si trovi a volere disperatamente: senza riposare sulle date cose che sicure aspettavano il suo futuro.

E interrotta la voce del piacere che le dice tu sei – sente solo il sordo mormorio del dolore fatto distinto che dice: tu non sei, mentre pur sempre essa chiede la vita.

  1. Le vite al bivacco, in provvisorio <gli infanti, i militari> (alle quali [per] un termine fisso da altrui volontá è prorogata l’attualitá del bene che sperano; e intatta è quindi la speranza) soddisfatti i bisogni elementari, compiti i doveri finiti: non sanno come sfogare la loro gioia. Onde l’αὐθαδία giovanile. Lo stesso effetto ha il vino che soddisfi troppo e finge la realtá della qualunque illusione del momento. –