Questa pagina è stata trascritta ma deve essere formattata o controllata. |
— 24 — |
cosí che l’uomo provi il dolore di non essere e si senta sperso in balía dell’ignoto a volere impotentemente.1
La paura che gli uomini credono limitata al dato pericolo, ed è invece il terrore di fronte all’infinita oscuritá di chi in un dato caso si esperimenti impotente: poiché è portato fuori dalla sua potenza. L’infinito tempo dell’impotenza è qui manifesto a ognuno: gli uomini muoiono di paura o, se non muoiono, in 5 minuti invecchiano di decenni; e la distruzione della persona è manifesta in ciò che la paura le toglie affatto ogni potenza (Lucr., III, 157: concidere ex animi terrore videmus / saepe homines2), per cui essa non fa neppur ciò che potrebbe fare
- ↑ Occasioni della noia melanconica: 1) la monotonia che esaurisce il valore delle cose per l’individuo e fa sentire infinito il tempo; 2) il riconoscimento dell’altrui individualitá come illusoria quando questa abbia un manifesto contatto con la propria – (poiché altrimenti il carradore che passa di notte pei villaggi addormentati compiange gli uomini chiusi in quella cerchia che per lui non ha valore, e si rallegra nel suo cuore della propria meta sicura – e d’altronde l’uomo che veglia in una stanza d’una delle case d’uno dei villaggi lieto della propria veglia laboriosa ed utile o del prossimo riposo, compiange quell’uomo oscuro sulla via, che va, che va, e il suo andare non ha fine); 3) riveder le impronte della propria vita d’un tempo ricca d’infinita speranza, poi per comoditá, per viltá, per adattamento, ridotta, abbandonata, venduta: d’una vita per la quale in ogni modo il futuro era di tanto piú ricco di quanto tempo sia da allora trascorso.
- ↑ De rerum natura III, 157