domani si arrestano. L’uomo si trova nuovamente senza nome e senza cognome, senza consorte e senza parenti, senza cose da fare, senza vestiti, solo, nudo, con gli occhi aperti a guardare l’oscurità — ἀποσβεσθεὶς ὄψεις ἐγρηγορὼς ἅπτεται εὔδοντος (Eraclito). Ogni sensazione si fa infinita; sembra loro che davanti ai loro occhi dei punti s’allontanino infinitamente, che cose piccole diventino infinitamente grandi e che l’infinito li beva. Cercano angosciati una tavola di salvezza, un punto saldo. Tutto si scompone, tutto cede, fugge, si allontana e tutto domina il ghigno sarcastico: ùuùuùuùu... «Niente niente niente, non sei niente, so che non sei niente. So che qui t’affidi ed io ti distruggerò sotto il piede il terreno, so quello che riprometti a te stesso e non ti sarà mantenuto, come tu hai sempre promesso e mai tenuto, non hai mai tenuto — perchè non sei niente, e non puoi niente, io so che non puoi niente niente niente».
Il tempo gli passa infinito e gli preterita il suo volere; egli ha l’angoscia di non aver fatto, per poter ora fare in giusto tempo mentre s’avvicina e Io stringe da ogni parte quello ch’egli non sa.
Egli si sente arretrato nel tempo e si sente dissolvere come si dissolve un cadavere conservato in un ambiente senz’aria se viene esposto all’aperto, che non anche esposto è già in polvere.
Egli sente d’esser già morto da tempo e pur vive e teme di morire. Di fronte al tempo che viene lento inesorabile, egli si sente impotente come un morto a curar la sua vita, e soffre ogni