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aver la via consueta che finge cose finite da fuggire, cose finite cercando.

I bambini, quasi vite in provvisorio, hanno molto meno definita la trama, molto più varia e disordinata, qui densa e luminosa, li sottile e oscuro-trasparente. Essi hanno gioie vive che gli uomini non conoscono più, e molto più spesso che gli uomini sono in balia di questi terrori. Nelle tregue delle loro imprese, dei loro piani, quando sono soli, e da nessuna cosa di ciò che li attornia sono attratti o a frugare o a rubare o a rompere o a discorrere o a tutte quelle altre loro occupazioni, si trovano con la piccola mente a guardare l’oscurità. Le cose si sformano in aspetti strani: occhi che guardano, orecchi che sentono, braccia che si tendono. Si sentono sor•vegliati da esseri terribilmente potenti e che vogliono il loro male. Non fanno più un gesto senza riflettere ad «Essi». Se adesso fanno un gesto con una mano, lo devono far anche con l’altra. È un ghigno sarcastico e una minaccia in tutte le cose. «Essi vogliono ch’io lo faccia — ma io non Io farò, non obbedirò. Ma non lo faccio allora solo perchè penso a Loro — allora lo faccio....». Quando passano una camera oscura sembra ai bambini che questi Essi gridino mille voci, che con mille mani li abbranchino, che in mille guizzi ghigni il sarcasmo nell’oscurità, si sentono succhiati dall’oscurità; fuggono folli di terrore e gridano per stordirsi.

Poi la vita s’incarica di stordirli. L’essere vivi si fa un’abitudine. Le cose che non attrag-