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attorniano e aspettano il suo futuro, sono l’unica realtà assoluta indiscutibile, col suo bene e il suo male, il meglio e il peggio. Egli non dice: «questo è per me», ma «questo è»; non dice: «questo mi piace», ma «è buono»; perchè appunto l’io per cui la cosa è od è buona, è la sua coscienza, il suo iacere, la sua attualità, che per lui è ferma assoluta fuori del tempo. È lui ed è il mondo. E le cose del mondo sono buone o cattive, utili o dannose; egli sa «rifiutar le cattive e sceglier le buone» (Isaia), poichè la sua attualità ha nel piacere (o dispiacere) organizzata la previsione di ciò che conviene alla continuazione dell’organismo, che crea da lontano la futura vicinanza necessaria alla futura affermazione. Perciò le cose non gli sono indifferenti ma giudicabili in riguardo a un fine. Questo fine che è nella sua coscienza gli è indiscutibile, fermo, luminoso fra le cose indifferenti; quello che egli ogni volta fa, non è fatto a caso, ma certo e ragionevolmente subordinato al fine. Come egli dice «io sono», così dice «io so quello che fo perchè lo fo; non agisco a caso ma con piena coscienza e persuasione».

È così che ciò che vive si persuade esser vita la qualunque vita che vive.


II.


Ma il mondo è fermo finchè l’uomo si tiene in piedi. E l’uomo si tiene in piedi finchè nel mondo ha dove fondarsi – μένει γὰρ αὐτῷ ἅπερ ἂν αὐτὸν μένῃ.