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fieno c’è la dolce promessa del suo futuro, vivono le determinazioni delle altre cose, la previsione del dato avvenire. Pel sapore esso sa ciò che è per lui buono,1 ciò che rende possibile la sua continuazione, che avvicina via via l’effettuazione del giro continuo delle sue necessità. Nel sapore è la presenza di tutta la sua persona. Questo sapore accompagna ogni atto della vita organica. Per cui dice l’Ecclesiaste (III, 12): «E vidi che non v’è bene per loro (secondo loro) se non in quanto ne godano e faccia loro bene nella loro vita; ed anche se nel mangiare, se nel bere e in ogni sua attività l’uomo vede il bene, è dato questo a lui da dio».
Così muovendosi nel giro delle cose che gli fanno piacere, l’uomo si gira sul pernio che dal dio gli è dato (προϋπάρχει) e cura la propria continuazione senza preoccuparsene, perché il piacere preoccupa il futuro per lui.
Ogni cosa ha per lui questo dolce sapore, ch’egli la sente sua perché utile alla sua continuazione, e in ognuna con la sua potenza affermandosi egli ne ritrae sempre l’adulazione tu sei. Così che volta per volta nell’attualità della sua affermazione egli si sente superiore l’attimo presente e alla relazione che a quell’attimo appartiene; e se egli ora fa questo e poi farà quello, ora è qui poi andrà là; egli si sente sempre uguale in tempi e cose diverse — egli dice io sono. E nello stesso tempo le sue cose, che lo
- ↑ Sapio = ho sapore = so.