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vita tutti dicono «tavolino, seggiola, piazza, cielo, colle» ecc. o «Marco, Filippo, Gregorio» ecc.

Οὕτω τοι κατὰ δόξαν ἔφυ τάδε νῦν τε ἔασι,
καὶ μετέπειτ’ ἀπὸ τοῦδε τελευτήσουσι τραφέντα
τοῖς δ’ ὄνομ’ ἄνθρωποι κατέθεντ’ ἐπίσημον1 ἑκάστῳ.
(Parmenide, v. 151 sgg.)

Ma che ne sanno? Ben essi dicono che se li vedono davanti chiudendo gli occhi e che li conoscono a fondo – ma se vogliono dir cosa siano, la figura si dissolve in notizie date come ricevute e in dati coordinati che corrispondono alle diverse impressioni dei sensi e all’uso a cui la data cosa serve, e si riduce, quando non sia indifferente, alla inesplicata simpatia o antipatia, alla attrattiva o alla repulsione che la data persona o la data cosa risveglia. – Come quando uno si mette a disegnare ciò che dice di veder perfettamente – e finisce col far... ghirigori e monogrammi... «perché non sa disegnare». –

La loro memoria è fatta di questi cumuli di disposizioni che aspettano le forme consuete per riconoscerle; ed essi riferendovisi con parole non le comunicano, non le esprimono ma le sigIlificano agli altri così da bastare agli usi della vita. Come uno muove una leva o preme un bottone d’un meccanismo per aver date reazioni, che le conosce per le loro manifestazioni, per ciò che d’indispensabile gli offrono, ma non sa come procedono, ma non le

  1. Ἐπίσημον = che sia per segno convenzionale. –