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in una mano e goccie di sangue sortirne – e la mano sentirebbe una spiacevole impressione, ma io non saprei che la punta punge, poiché l’occhio non ha da esser il mio occhio, la mano la mia mano, s’io pur voglia esser oggettivo; e la contemporaneità delle due esperienze per l’osservatore oggettivo deve esser un caso, che egli ben si guardi dal costituire a regola – appena dopo ripetute energiche esperienze egli potrebbe azzardare l’ipotesi che forse le due cose dovrebbero avere un certo «legame di causa». –

M’accadde di veder dei bambini divertirsi (– molto filosoficamente –) con dei cartoni dipinti a figure rosse e azzurre sovrapposte. Guardandoli con vetri rossi e azzurri, che a volta [a volta] eliminavano le figure dello stesso colore, essi s’ingegnavano a riprodurre disegnando le altre così ricavate.

Ma uno se ne stava in disparte e dispettosamente gittati i vetri colorati s’affaccendava a copiare con tenace cura linea per linea il groviglio delle figure sovrapposte.

Ecco, pensai, questo sarà uno scienziato – che già ora il suo gioco sacrifica all’oggettività, e guarda e copia quello che egli non ha visto, quello che non ha senso per lui.

Infatti gli scienziati nelle loro esperienze la cecità degli occhi, la sordità delle orecchie, l’ottusità d‘ogni loro senso esperimentano. Invano ha ammonito Parmenide:

Μηδέ σ’ ἔθος πολύπειρον ὁδὸν κατὰ τήνδε βιάσθω
νωμᾷν ἄσκοπον ὄμμα καὶ ἠχήεσσαν ἀκουὴν
καὶ γλῶσσαν