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mare brilla lontano. In altro modo esso sarà mio. Io scenderò alla costa, io sentirò la sua voce, navigherò sul suo dorso, e sarò contento. Ma ora che sono sul mare, «l’orecchio non è pieno d’udire», e la nave cavalca sempre nuove onde. «Un’ugual sete mi tiene». Se mi tuffo nel mare, se sento l’onde sul mio corpo — ma dove sono io non è il mare; se voglio andare dove è l’acqua e averla, le onde si fendono davanti all’uomo che nuota; se bevo il salso, se esulto come un delfino, se m’annego — ma ancora il mare non io posseggo: sono solo e diverso in mezzo al mare.

Nè se l’uomo cerchi rifugio presso alla persona ch’egli ama, egli potrà saziar la sua fame; non baci, non amplessi, o quante altre dimostrazioni l’amore inventi, li potranno compenetrare l’uno dell’altro: ma saranno sempre due, e ognuno solo e diverso di fronte all’altro.

Gli uomini lamentano questa loro solitudine; ma se essa è loro lamentevole è perchè, essendo con sè stessi, si sentono soli: si sentono con nessuno e mancano di tutto.

Colui che è per sè stesso (μένει) non ha bisogno d’altra cosa che sia per lui (μένοι αὐτόν) nel futuro, ma possiede tutto in sè.

Non avrà loco fu sarà nè era
ma è solo, in presente e ora e oggi
e sola eternità raccolta e ’ntera1.


  1. E Parmenide (61-2):
    οὐ ποτ᾽ἔην οὐδ᾽ἔσται ἐπεὶ νῦν ἔστιν ὁμοῦ πᾶν ἓν ξυνεχές.