165A immane tronco di selvaggio ulivo,
A cui brevi apparian fra le corone
Dell’edera fioreole ambo le corna.
Cara ed acerba ricordanza ancora,
Dell’amata Siringa, a lui dal collo 170Pendea l’umil zampogna; onde molcendo
L’interno affanno, i gioghi alti e le valli
Di Ménalo felice allegrar suole:
Quando più il Sol riarde i campi, e l’ombra
Grata è all’armento, ed alle Ninfe il bagno 175Di freschissimi rivi, e possedute
D’alti silenzj tacciono le selve.
Quivi descritte in tessere di bianco
Faggio vedea del pastoral contegno
Le nuove leggi: e i dì felici all’opre 180De’ mortali, e gli avversi: e di che forme
Più si pregi il monton, che nuovo armento
Ricreando da madri abbiette e vili,
Di finissimi velli a noi fa dono
Per tale avviso a la seconda prole. 185Quasi in aurei cancelli entro l’obbliquo
Calle vid’egli il sole approssimarsi
Ai divisati segni, avvicendando
Le veloci stagioni; e notar, come