Dell’arbor fortunato, onde s'acqueta
De’ nervi offesi il tremito, e l’occulto 310Vibrar che il sangue avvampa e i corpi abbatte.
Nè invan d’Europa a’ più benigni soli
Tu venisti, o fra tutti eletto pomo,
Che dalla terra il nome e il color tieni.
Non men che in fertil campo, alligni e cresci 315Dove la sabbia ignuda e l’inclemenza
Del ciel contende ad altra messe albergo;
Nè te ruggin scortese o nebbia edace
Arde, nè pioggia ingrata affonda, o rompe
Strepitando la grandine ne’ solchi; 320Quindi fuor di periglio all’uomo abbondi,
Suo cibo, ed ammannito ov’ei nol sdegni
Ad ogni tempo di ria fame il salvi.
D’orribil forme un giorno, e nell’aspetto
Paurosa, una Furia il capo ingordo 325Levò da Stige e pose il mondo in pianti.
Dopo l’ire di Marte, onde le ville
Van di mèssi diserte e di cultori,
O dopo che malvagio aere inclemente
Attoscò i germi della terra e i parti, 330Per gli squallidi campi uscía la cruda
Affamando i mortali; e il senso in tutti