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libro sesto. 127

Della palude le inghiottì non viste
La pecora; ma forse al ver più presso
335Colse il pastor, che ad un medesmo parto
Nati que’ vermi sospettò coll’agna,
E fatti adulti a’danni suoi. Natura,
Prodiga a un tempo e avara, alternamente
Strugge e ricrea la vita: e così forse
340Ciascun nascendo dal materno seno
I germi della morte seco tragge;
E crescendo cogli anni, i passi affretta
Per ignota cagion verso la tomba.
     Ma non sia chi perduta opra stimando
345Verso l’inferma ogni sua cura, al fato
Cieco s’arrenda; ma sì ben provveda
Che per sua colpa non incolga all’agne
Un qualche danno. Alla ridente Igia
Servatrice di vita alzi le palme
350Dai coronati altari, e ne la invochi
Ognor benigna; e quella ravvolgendo
Il sacro innocuo serpe alle rosate
Sue braccia, e in man recandosi la coppa
D’infinita virtude e la potente
355Verga Epidauria, scenderà d’Olimpo
A le sue preci, e purgherà gli ovili,