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116 la pastorizia,

A quel modo, che ai fianchi un giorno infisso
70Il mortifero assillo, opra di Giuno,
La flebil Io dell’Inaco paterno
Disperata correa le verdi sponde,
Fatta giovenca, e le foreste intorno
Di pietosi muggiti e d’ululati
75Empiea, cozzando misera! ne’ tronchi,
Sè ravvolgendo tra la polve e i dumi
Irti di sproni; e non però le avvenne
Torsi da tergo la volante Erine.
Estro più crudo il moribondo agnello
80Persegue, e in più vital parte s’accoglie
Dell’infelice; perocchè condotto
Per le narici all’intimo cerébro
Un verme rio che Idatide si appella,
Rode gli stami dilicati, e vive
85Limando ognor più addentro, e di mortali
Punture offende la vìtal midolla.
Morto l’agnel, se il cerebro discopri
Dell’osseo usbergo, tu vedrai su quello
Prominenti apparir più o men profonde
90Bianche vesciche, in che notando vive
Il mal concetto verme. Indarno estimi
D’avvisarne le forme; al redivivo