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mo tempo, periscono nondimeno i nomi di coloro che edificano, gli edificii non salvando quelli.» Deve dirsi: e promettono ch’elli: cioè gli edifizi.

Ivi. «Guarda il tempio, siccome si crede, di Venere Baiana; guarda quivi medesimo l’oratorio di Silla, guarda gli edificii per addietro grandissimi e mirabili della samia Giunone, di Diana efesia e di Apolline delfico.» Al nominarsi qui l’oratorio di Silla pochi forse terranno le risa: ed io pure ho dovuto ridere. La cosa è non solo strana pel nome, ma anche contraria a ciò che intende dire l’autore: cioè che ancor veggonsi i fondamenti, le mura e le ruine di quegli edifizi, ma non si sa il nome del principe dell’opera di cotanta spesa. Or se uno di essi edifizi fosse chiamato l’oratorio di Silla, come non si saprebbe che fu edificato da quel famoso romano? Qui non l’oratorio di Silla, ma dee dirsi l’oracolo della Sibilla, presa la parola oracolo alla latina, per luogo proprio, anziché per indovinamento, predizione, o risposta degli dei. E gran lume, anzi dirò certezza, alla mia correzione dà quel passo del Boccaccio nella Fiammetta (cap. V), ove parlandosi come di là dal piacevole monte Falerno, in mezzo dell’antica Cuma e di Pozzuolo, sono le dilettevoli Baie sopra i marini liti: si aggiunge: Quivi gli oracoli della cumana Sibilla, il lago di Averno, e’l teatro, luogo comune degli antichi giuochi, e le piscine, e’l monte Barbaro, vane fatiche dello iniquo Nerone. Dov’è chiaro, che gli oracoli della cumana sibilla sono un luogo come il lago di Averno, le piscine e il monte Barbaro, ed un edificio come il teatro.

Ivi. «Stando ancora in piedi molti edificii, certa-