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E co’ lamento gli fu arecata:
e co’ lo scudo che ogni uom lagrimava.
Tristan la spada in mano s’arecava,
e lamentando assai la comendava:
«ispada mia, quanto se’ dotta istata!
Se dovunque n’anda’ io ti portava,
ora mi parto, e tu ti rimarai;
e per me colpo ma’ piú non darai!». 25
Po’ si recava il forte iscudo in braccio
messer Tristan, che perduto hae la lena,
dicendo: «Scudo mio, merzé ti faccio,
ch’assai campato m’hai da mortal pena!
ora per mia follia da te mi spaccio,
che mi vien meno i passi ed ogni lena».
E s’inchinava l’elmo in sulla testa,
sicché ogni gente facíe piagner presta. 26
Poi disse a Sagramore: «Amico caro,
quando sarò del secolo passato,
in Cammelotto andrai con pianto amaro
dinanzi a re Artú incoronato;
e l’arme mia, che giá tanto provaro,
gli donerai, contando in ogni lato
la morte mia a’ baron di Camellotto,
e sopra a tutti a messer Lancialotto». 27
E la reina, che l’udi parlare,
dice: «Tristan, cuore del corpo mio,
se tu ti muori o come deggio fare?
pregar ti voglio per l’amor di Dio,
che dietro a te non mi deggi lasciare:
ché bene non avrebe il corpo mio;
anzi morebe in pene e in dolore,
a viver sanza te, o mio signore».