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appendice 339


dare conforto; tanto era la ferita pericolosa. E sappiate che, sappiendo lo re Marco sí come Tristano era in tale maniera aggravato, alquanto se ne allegrava; ma intendendo fermamente sí come egli no’ poteva iscampare, il cuore si gl’intenerí, ed era il piú tristo re ch’avesse al mondo, e la reina Isotta era la piú trista donna che mai fosse nata, e molto disiderava che lo re la mettesse a morte. E stando ella davanti lo re e gli altri baroni, sí diceva: «Muoia lo mio amore quando morire vuole; però che lo dí che morrá Tristano, io gli farò compagnia; e se lo re e lo dolore no’ mi uccide, io medesima mi ucciderò; imperò che noi siamo istati una vita, e degna cosa è che noi siamo una morte». E no’ mangiava e no’ beveva; ché cosí come la ’nfermitá nutrica lo ’nfermo, cosí il grande dolore notricava la reina Isotta.

E vedendo Tristano sí com’egli no’ poteva campare, sí appella a sé Dinasso e sí lo manda allo re Marco, pregandolo che gli vada a parlare. E allora Dinasso se ne va a corte, e conta sua ambasciata allo re Marco; e lo re, co’ molte lagrime, abbassa la testa; una grande pezza la tenne chinata; e appresso, sí monta a cavallo con grande baronia, e va a parlare a Tristano suo nipote. Ed essendo giunto alla camera, trova che Tristano si lamentava duramente, sí come colui che moriva assai male volentieri. E vedendo Tristano lo re sí disse: «Caro mio zio, voi siate lo ben venuto, che siete venuto alla mia dolorosa festa, la quale avete tanto desiderata, e ora avete a compimento vostra gioia, imperò che tosto vederete morto il vostro Tristano. Ma, per avventura, ancora ne sarete pentuto. Ma, poi che cosí è intervenuto, non può esser altro; e imperò io lo vi perdono, e priego voi che perdonate a me ogni offesa ch’io incontro a di voi avessi fatta». E lo re, con grande pianto sí gli perdona, dicendo: «Bello mio nepote, siete voi a tal partito, ch’egli vi convegna morire?». «sí sono,» ciò disse Tristano; «e vedete a che sono venute le mie braccia, le quali facevano tanto d’arme acciò che torto non fosse fatto ad altrui. Ma d’una cosa vi voglio pregare, dolce mio zio: che voi mi facciate un dono, lo quale io dimanderoe; e sí vi dico