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338 la leggenda di tristano


12. — La fine di Tristano.

Trapassata che fu la notte e venuto il giorno, e Tristano e Isotta stando in tanta allegrezza, giucando a scacchi e cantando sotto boce un sonetto, lo quale sonetto Isotta fatto avea in quel punto per Tristano: e lo sonetto dicea cosí:

     Da poi ch’io v’ho riveduto, o vita mia,
Ogni altro diletto tengo a niente;
Ch’io per voi no’ trovavo luogo notte né dia
E non ho avuto posa veramente,
Perch’io non v’ho veduto, o anima mia.
Or ch’io vi veggio, il cuor è dilettoso
S' come mai piú fu, o viso amoroso,
Lo quale fate della notte dí;
Voi solo siete mia vita e speranza e diletto e riposo.

E cantando e giucando gli due leali amanti, e stando in tanto diletto, sí come volle la disavventuranzia, Adriet, nipote dello re Marco, passa quindi, e udendo il canto, conobbe la boce di Tristano, e allora, correndo, se ne va allo re Marco e sí gli conta la novella. E lo re Marco, sí come uomo irato, sanza niuno provvedimento, sí tolse i’ mano lo lancialotto, e vassene alla camera: e mirando per una finestra ferrata, e vedendo Tristano ch’era in giubba di seta, ed era inchinato al giuoco che egli facea con Isotta, lo quale molto gli dilettava; allora lo re, per mal talento, sí gli lanciò la lancia e ferillo nel fianco dal lato manco: e per paura che Tristano nollo vedesse, tantosto fuggí via.

Qui si puote ben dire: oh colpo doloroso, sanza pietá, d’ogni dolore e crudeltá copioso, che tanto fosti dannoso! E sentendosi messere Tristano ferito, tanto tosto conobbe che lo colpo era mortale, e con grande dolore e sospiri, sí prende commiato dalla dolente reina Isotta, la quale era assai trista e dolorata; e sí torna al castello Dinasso e tanto tosto si mise nello letto, e assai medici sí vi furono, ma niuno nolli sapea