Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
appendice | 327 |
solo una cosa è quella per la quale la doglia passa e vae via
tostamente; imperoché lá dove è la veritá, sempre rimane il
vero in suo stato. Ché, quando lo mio signore lo Re saprae
ben la veritá di mia lianza, egli giá non crederrae piú a malvagi consiglieri, ma amerá piú me che altra persona. Ché in
buona fé io posso con veritá giurare che io non diedi giammai mio amore a persona veruna, né animo ho avuto di dare,
se non a colui il quale ebbe lo mio pulcellaggio. E se lo Re
sapesse ch’io fossi ora qui, egli mi farebbe ardere, e neuna
persona lo potrebbe trarre di sospetto. Ora mi dite perché a
cotale ora voi mandaste per me; ché, certo, l’ora non fue
bella né convenevole, e per altra fiata per nulla maniera ci
verrei». E Tristano disse: «Reina, io so bene che per me
avete patito pena e carco; ma ciò non è stato per mio difetto,
ché voi sapete bene che da me voi non aveste giamai altro
che buono consiglio e conforto, peroché lo onore e la vergogna
dello Re sarebbe mia propria. E bene doveria egli pensare
che, se io amata v’avessi di folle amore, io non vi arei donata a lui, ma io v’averei tenuta per me. Ma lo Re ciò non
crede, ma crede a coloro che per invidia mi vorrebbero vedere
distrutto. E sappiate che io mandai per voi per cosí fatto
convenente: che io mi voglio ritornare nella Petitta Brettagna...». E allora l’uno si diparte da l’altro, mostrando d’essere schifati nella vista. E assai erano addolorati perché non
aveano potuto parlare insieme d’altre cose piú segrete. E lo
Re, avendo ascoltato loro parlamento, dismonta del pino, dicendo infra sé ched e’ non fu giamai la veritá che infra Tristano e Isotta fosse mai niuno rio pensamento. (Cap. LXIIII).
10. — Pazzia di Tristano.
«A voi, Ghedino, figliuolo dello re della Petitta Brettagna, io Isotta, reina di Cornovaglia. Ricevetti una vostra lettera, e solennemente io la lessi e con grande amore. Imperò io sí vi mando pregando che voi vi confortiate e stiate di buono