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306 la leggenda di tristano


grande moltitudine di cavalieri e di pedoni, dicendo in fra gli suoi baroni: «Signori, voi sapete, che per ambasciata, che io mandata aggia allo re Marco di Cornovaglia, egli ancor non s’è mosso a mandarmi lo tributo, lo quale pagare mi dee per nove anni passati; e ciò addiviene, perch’egli mi tiene a vile, e non si cura di me. Imperò io sono fermo di passare il mare, e d’essere in quello reame, e porvi assedio alla cittá di Tintuille, e mai non me ne partire sanza lo detto tributo raddoppiato». E gli baroni suoi s’accordano a ciò. Allora eglino s’acconciano di biscotti e di cervogia, e di navi e di galee e di legni; e fae sonare le trombe e nacchere e cennamelle, e dare nelle campane a martello; e tutta la gente allora montano sulli navili i quali furono per numero trenta milia sette cento cavalieri e sessanta milia pedoni. E appresso danno alle vele. E lo tempo fue buono; sicché per la potenzia di scirocco, in sedici giorni furono allo porto di Cornovaglia a Tintuille. E allora tutta la gente dismonta delle navi; e attendarsi alla marina, presso alla cittá a mezza lega. E appresso, l’Amoroldo chiamò a sé due grandi baroni, e mandogli allo re Marco per ambasciadori, e si gli comandoe. che de li a trenta giorni dovesse avere pagato lo tributo raddoppiato, lo quale egli dovea pagare per nove anni passati, sotto pena della metá di loro persone. Ed essendo gli due cavalieri dinanzi allo re Marco, contarono e dispuosero loro ambasciata; e lo re di tale novella fu lo piú tristo signore del mondo; e tutti gli baroni mostravano grande doglienza. E Tristano, vedendo la corte tutta cosí turbata, fassene di ciò grande maraviglia, e domanda allora uno antico cavaliere, dicendo: «Onde è venuto tanto dolore, cosí novellamente?». E lo cavaliere conta a Tristano tutto lo convenente, sí come lo re Felice gli avea sottomessi a quello d’Irlanda; e sí come Amoroldo era venuto per lo tributo, lo quale dovea ricevere di nove anni. E Tristano disse: «Debbelo egli avere ragionevolemente?». E lo cavaliere disse: «Niuna ragione ne assegna, se non la sua grande possanza; però ch’elli sí è uno delli piú prodi cavalieri del mondo, e hae sotto di sé uno possente e