sia’ desso, e sete la piú bella cosa che io vedessi giá mai in
questo mondo». Ed allora li cavalieri e le donzelle, avendo
inteso il damigello, cominciarono a ridare fortemente, dicendo:
«Damigello, noi non siamo né Iddio né Angeli; anzi siamo
cavalieri, li quali andiamo per li lontani paesi dimostrando
nostra prodezza, acciò che torto non si facci ad alcuna persona». — «Per mia fé, disse Lancilotto, che da poi che li
cavalieri sono tanto belli a vedere, io volontieri sarei cavaliere,
se io potessi éssare». Ed appresso il donzello domanda li cavalieri che loro li debbino dire e divisare la maniera dell’armi; e misser Calvano gli disse sí come l’elmo, lo scudo
e lo sbergo erano per loro difesa. «Ma queste donzelle dicano
che vi meneranno a corte dello re Artú, ed egli vi donará
arme e cavallo e farávi cavaliere». E di tali parole lo fèro
assai allegro. E a tanto si dipartano l’uno dall’altro. E le
donzelle e Lancilotto tanto cavalcarono che egli furono alla
cittá di Camellotto, lá dove manteneva corte lo re Artú. Ed
essendo nel palagio, andòrno ne la sala, dove trovarono lo
re e la reina Ginévara e molti altri baroni e cavalieri; e le
donzelle salutarono el re da parte della Dama del Lago, dicendo sí come ella lo mandava pregando che quello donzello
facesse cavaliere. E lo re rispose che ciò fará volontieri.
E dimorati un poco, le tavole furono messe e tutta gente
assettate al mangiare, e Lancilotto sedette a tavola de’ cavalieri di men pregio. E mangiando eglino in tale maniera,
una donzella della corte, la quale non parlava niente ed era
appellata «la donzella senza mentire», ché mai non aveva
detto né vero né bugia; e allora la donzella prese Lancilotto
per mano, dicendo: «Sta su, damigello, lo quale fusti
figliuolo dello re Bando di Benoich, e venuto se’ a stare a
tavola del li cavalieri erranti»; e mai la detta donzella non
parlò piú in questo mondo. E sapendo lo re, che questo era
lo donzello che aveva custodito la Donzella del Lago, che era
nato dello re Bando, fu assai allegro, e fálli grande onore ed
apparecchiasi di farlo cavaliere. E tutta quella notte vegghiò
Lancilotto nella gran chiesa, sí come era usanza di fare, e