Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
la leggenda di tristano | 295 |
morto, e tanti de’ compagni dela Tavola ritonda morti, ch’era
una meraviglia a udire. Lo re Artú di questa novella che
l’uomo li avea contata tutto di fresco, era duramente tutto
disconfortato, sí che io non credo ch’elli si conforti per uno
grande tempo». «Al nome di Dio», disse Sagramor «queste
novelle sono troppo malvage per onore di cavallaria, ma ancora sí ne porto io piú malvage, per la fede che io do a Dio,
che queste non sono». «Al nome di Dio,» disse lo cavaliere,
«dunqua sono elle troppo malvage, quando sono peggiori di
queste». «Certo,» disse Sagramor «voi dite vero, malvage
sono elle troppo. Vedete voi ora questo scudo che io porto
e questa spada? Ora sappiate che queste fuoro arme d’altresi
pro uomo, come io conoscesse. E sappiate che per l’alta cavallaria che io sentiva di lui, non ho ardimento di portare
questa spada cinta al mio costato, anzi la porto a collo, in
quelle guise come voi vedete». «Dio aida!» disse lo cavaliere, «chi fu quelli che tanto fu buono cavaliere, come voi
dite?». E Sagramor incomincia a piangere, e poi rispuose
tutto piangendo: «Ciò fu lo buono T. di Leonis, che morto
è ora tutto novellamente e darae danno a tutto lo mondo».