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268 | la leggenda di tristano |
CCXII. — Ma se alcuno mi domanderae come avea nome questo cavaliere, io diroe ch’egli avea nome Pressivalle lo Gallese, ed iera troppo buono cavaliere d’arme. Ma dappoi che ambodue li cavalieri fuorono ritratti indietro per riposarsi, e Prezzivalle si incomincioe forte a pensare oltramodo, e dicea in fra se istesso: «Certo, questo è bene lo migliore cavaliere che sia al mondo, imperciò ch’egli mi sembra pegli colpi che dona che siano somiglianti a quegli di monsignor Lancialotto. E imperciò io credo ch’egli sia desso. Ma sia chiunqua, egli mi pare lo migliore cavaliere con cu’io unqua mi combattesse. Ma potrebe essere bene tale [cavaliere] ch’io gli lascierei questa battaglia, e tale egli può essere ch’io pur combatterei con lui». E a tanto sí lo domandoe e disse: «Cavaliere, ora sappiate ch’io mi sono tanto combattuto con voi, ch’io veggio bene che voi siete lo migliore cavaliere con cu’io anche mi combattesse. E imperciò voglio che voi sappiate che intra noi due non ha ora neuna querella, per la quale nostra battaglia debia essere menata a fine. E imperciò, quando a voi piacesse, io vorrei sappere vostro nome, e io imprimieramente sí vi diroe lo mio; imperciò che voi potreste esser tale cavaliere che noi ne lascieremo questa battaglia, e tale cavaliere voi potreste essere che noi meneremo nostra battaglia a fine». E quando monsignor T. intese queste parole, fue molto allegro a dismisura, e disse: «Cavaliere, ora mi dite voi a me vostro nome imprimieramente, e appresso vi diroe io lo mio». Ed egli sí disse: «Ora sappiate ched io si ho nome Prezzivalle lo Gallese». Ed egli si disse: «[Ora sappiate] ch’io sono T. di Cornovaglia, per cui sarae menata a fine questa battaglia, per amore dela villania che voi mi faceste l’altrieri a questa fontana».
CCXI1I. — Quando Prezzivalle [intese queste parole, fue molto allegro e disse]: «Io non voglio piú combattere con voi in nessuna maniera, imperciò che intra noi due non è ora neuna querella, per la quale nostra battaglia debia essere menata a fine. E imperciò io sono molt’allegro, da ch’io v’ho