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la leggenda di tristano | 195 |
CXLVIII. — Ma in questa parte dice lo conto, che tanto dimorò T. in cotale maniera, che lo giorno sí fue venuto che T. sí dovea ricogliere ala nave. E quando lo re vide che T. sí volea partire, incontanente sí montò a cavallo con tutti li suoi baroni e cavalieri, e T. montò a cavallo e Ghedin e Governale con lui. Ma quando Isotta vide che T. sí volea partire da lei, incontanente sí l’abraccioe e disse: «T., io vi priego quanto io so e posso che voi dobiate tosto tornare a mee, alo piú tostamente che voi potete». Ed egli sí rispuose e disse: «Dama, questo farò io volontieri». E a tanto sí partio T. a congedo d’Isotta e di tutte l’altre dame e damiscelle, e andoe sua via con Ghedin e montarono a cavallo e andarono alo porto; e quando fuorono alo porto, e T. comandò a Governale ed a Braguina che dovessero montare in su la nave con tutti gli altri iscudieri. E quando Governale intese lo comandamento di T., incontanente sí montò in su la nave. E a tanto T. sí domandoe congedo alo ree; e quando venne alo dipartire, e lo re sí incominciò molto fortemente a piangere. E a tanto T. e Ghedin sí si ricolsero ala nave. E quando fuorono tutti ricolti ala nave, e li mastri marinari sí dirizzarono le vele al vento, e lo tempo hanno buono e lo mare è in grande bonaccia, sí che in poca d’ora fuorono dilungati tanto dala terra che a pena si poteano vedere. E quando lo re vide ched eglino ierano molto infra lo mare, ed egli si si ritornoe con sua gente alo suo palagio, con tutti li suoi baroni e cavalieri. E quando fuorono alo palagio, e lo re ismontoe da cavallo con tutti li suoi baroni e cavalieri e andarono nela sala delo palagio, e quando fuorono nela sala, ed eglino sí incominciarono molto a parlare dela partenza di T.
CXLIX. — In questa parte dice lo conto, che dappoi che T. ebe domandato congedo ad Isotta, sí come detto èe, ed incontanente sí andò Isotta in sun una grande torre, per vedere la nave di T. Ma quand’ella vide la nave andare per l’alto mare, ed ella sí piangea molto duramente e dicea: «Certo io mi posso bene piú dolere che nessuna damigella che sia